Come ogni anno al WMF si fa il futuro. Tra partite di drone soccer, cani robot che scodinzolano e uomini che sfidano la gravità, ci sono ancora tanta tanta SEO e tanto content marketing.
Predizioni, paure, opportunità, certezze, insicurezze che il fenomeno AI porta nel mondo dei motori di ricerca e della creazione contenuti sono state snocciolate dai più grandi esperti – italiani e internazionali – del settore che hanno calcato i vari stage del We Make Future dal 13 al 15 giugno.
Tantissimi gli interventi di qualità, almeno quelli a cui ho potuto assistere. Tante le lezioni che porto a casa. Iniziamo dalla SEO, che ho provato a condensare in questa lista di 5 macro-questioni.
1. Con l’AI, le ricerche di brand online non saranno sono più le stesse
Ce lo spiega Giorgio Taverniti, uno che di SEO ne sa.
Con l’AI le ricerche diventano più umane perché più conversazionali, più approfondite perché più mirate alla soddisfazione in toto di un’esigenza specifica.
Ma non solo. Le ricerche online diventano più intrecciate al mondo fisico e, soprattutto, più rivolte alle SOLUZIONI e meno al BRAND.
È se questa cosa da un lato potrebbe un po’ spaventare – le ricerche di brand sono quelle che portano le maggiori conversioni organiche – dall’altro mi rincuora. Perché spiega ciò che sto riscontrando da due anni a questa parte nel mio settore [SaaS ndr]: stentano i click in SERP per le ricerche di brand, aumentano le entrate dal traffico cosiddetto “non-branded” veicolato su pagine alternative a quelle vetrina e di prodotto.
Tutta questa crescente umanità, multicanalità, conversazionalità, fisicità delle ricerche online sta lasciando meno spazio alle ricerche sui brand? Probabile! Sicuramente, in una SEO non legata troppo alle keyword di brand, diventa fondamentale continuare a creare contenuti orientati a fornire soluzioni. E le vie di cercare soluzioni sono infinite…
2. Chi perde, chi vince (e chi pareggia) dai recenti spam update
Lily Ray, ospite di grande caratura internazionale, ha analizzato gli effetti del Core&Spam Update, l’aggiornamento più significativo e impattante di questo 2024 negli algoritmi di Google. Cosa sta accadendo?
Perdono (e continueranno a perdere) terreno diverse tipologie di siti che per anni hanno dominato le nostre SERP e che nell’ultimo periodo hanno sfruttato con molta probabilità l’AI generativa per rintuzzare i loro piani editoriali.
Tra le vittime più illustri:
- Siti di nicchia troppo ricchi di contenuti, come quelli travel improntati su singole località. Per intenderci i siti del cosa fare in Abruzzo, cosa mangiare in Abruzzo, le migliori spiagge abruzzesi, i migliori ristoranti in Abruzzo, cosa vedere in Abruzzo, [ecc…] in Abruzzo. Si parla in questi casi di “Scale-content abuse“
- Siti di recensioni, con chiaro intento affiliate. Sono caduti in questo senso fior fior di siti web che si posizionavano con le cosiddette “Best” keywords: migliori app per, migliori tool per, migliori siti per, migliori prodotti per, ecc… Si parla qui di “Site-reputation abuse”
Sorge qui spontaneo il dubbio: vale ancora la pena puntare i propri investimenti di outreach su questi bei listoni? Verrebbe da dire di no, ma se ho, facciamo l’esempio, un nuovo prodotto che crea corsi online con l’IA, penso immediatamente di piazzare questo nuovo prodotto nell’articolo-listone che ben si posiziona per la keyword “migliori piattaforme per creare corsi online”. È automatico. Per il momento navighiamo a vista, da settore a settore, da SERP a SERP.
In alternativa, potrei guardare se si discute di migliori piattaforme per corsi online in qualche discussione all’interno di Reddit e Quora. Sono questi siti Q&A, basati sugli interventi degli utenti, sorpresa delle sorprese, ad aver guadagnato posizionamento su molte delle top keyword prima dominate dai siti penalizzati dall’update. Monitorare e presidiare le discussioni su Reddit e Quora diventa quindi un fattore determinante.
I siti web che sono stati penalizzati dall’ultimo update sono comunque accumunati da un denominatore: non fanno capo a un brand reale.
Essere un brand fa quindi ancora la differenza, anzi la fa di più. Anche in un’era in cui paradossalmente le ricerche brand sono diminuite (vedi paragrafo precedente). Ma non è il numero di ricerche il nocciolo della questione, quanto più l’esistere: più brand identity che brand SEO.
Lili Ray ha dettato quindi le contromisure da adottare in suddetto scenario: essere un brand reale, come accennato, strizzare l’occhio a Reddit & co, come detto, ma anche diversificare le fonti di traffico organico. Se fino a oggi siamo stati abituati a fare analisi keyword da destinare alla realizzazione di articoli blog e altre pagine web, oggi la stessa analisi deve essere declinata in una guida per il blog, chiaro, ma anche in un video per Youtube, uno per Tik Tok e perfino un Podcast.
3. Il SEO sarà un po’ più Tik-Toker, il Tik-Toker sarà un po’ più SEO
Diversificare le fonti di traffico organico, è inutile nascondersi, vuol dire lavorare con/come veri e propri Content Creators. Il solito Taverniti sforna un verdetto eloquente:
Bisogna rubare il linguaggio di un Content Creators, per farsi considerare da chiunque, per intercettare un’audience ampio e non un target.
Questo perché fare SEO vuol dire studiare la ricerca di informazioni degli esseri umani. E questa ricerca non avviene solamente su Google. L’interessante studio su oltre 400 utenti presentato in un altro speech, da Vanessa Basso e Maria Paloschi di The Brandformance Society, lo conferma.
In taluni settori, le ricerche informazionali e di brand avvengono, nell’ordine, su Google, Tik Tok e Instagram. Le ricerche ispirazionali, addirittura, più su Tik Tok e Instagram che su Google. Lo studio testimonia anche come la stessa tematica segua stagionalità e tendenze di ricerche diverse tra Tik Tok e Google.
Veronica e Maria hanno anche dimostrato con un case study reale che grazie a Tik Tok puoi creare domanda nei motori di ricerca per un nuovo prodotto/soluzione (vedi ricerca soluzioni > ricerca brand del punto 1) che non ancora “esiste” nella mente degli utenti. Approccio più efficace (e forse più economico?) di qualsivoglia campagna di link earning!
Questo vuol dire che da un lato i contenuti social devono essere più “SEO-oriented” e meno estetici, dall’altro questi contenuti devono comunque parlare il linguaggio del pubblico social, quindi dei Content Creator, e non dei SEO. Un bel groviglio.
Questo perché, tornando al discorso di Taverniti, un Content Creator conosce il linguaggio ispirazionale, fondamentale per costruire nuova autorevolezza, grazie al traffico e al branding che porta con sé.
Ispirazione — > Traffico — > Brand — > Autorevolezza
L’equazione è sempre la stessa da anni, ma i canali per risolverla cambiano, o meglio si moltiplicano.
Stiamo ancora cercando di risolvere la dicotomia SEO Copywriter. Non è una bestemmia pensare che tra non molto inizieremo a parlare e ad azzuffarci sulla figura del SEO Tik-Toker o Tik-Toker SEO… a seconda dei punti di vista.
4. L’AI overview si combatte solleticando il search journey
Nel cocktail del WMF non poteva mancare il tema della ricerca generativa by Google. L’AI Overview (al secolo AIO), con tutti i suoi difetti, è realtà negli Stati Uniti e presto lo sarà anche in Europa. L’approccio internazionale dell’esperto Gianluca Fiorelli mi ha aiutato a capire meglio chi è questo mostro che dovrò e dovremo affrontare nei prossimi mesi. Meglio, mi ha aiutato a capire se l’AIO è veramente un mostro o un semplice nuovo inquilino da accogliere nella già affollata SERP di Google, o perfino un alleato per i miei scopi SEO.
La prima notizia è che l’AIO non riguarda tutte le query di ricerca, anzi sempre più una piccola parte. La seconda notizia è che non c’è una sola AIO, ma almeno tre. La terza è che l’impatto sul ranking delle mie pagine web e quindi sui risultati SEO potrebbe dipendere proprio dal tipo di AIO. A seconda della query di ricerca, ci si può trovare di fronte:
- AIO che duplicano i risultati di ricerca già presenti;
- AIO che fanno da complemento, riassumendo ciò che c’è già in top 10:
- AIO che “accelerano” la ricerca, condensando al loro interno i prossimi step di ricerca.
C’è qui una quarta notizia implicita: mai come nell’epoca AI, è importante comprendere il search journey degli utenti. Neanche troppo implicita, a dir la verità. Lo stesso Fiorelli ci spiega meglio la fusione tra Large Language Models e intenti di ricerca, sviscerando magistralmente uno degli ultimi brevetti rilasciato in Google Patents. Sono tanti i fattori di ranking estrapolati che sono legati al comportamento degli utenti durante le loro sessioni di ricerca: scroll e sottolineature in SERP, tempo di permanenza, query usate di recente, correlate o implicite.
Occorre studiare il search journey di un utente e agire con contenuti pensati per le intere sessioni di ricerca di un utente, non per una singola SERP.
Si è sempre detto, da molto prima dell’AI, specie in logica EEAT. Adesso che c’è di mezzo questo nuovo acronimo (AIO) è arrivato veramente il momento di farlo.
Ma c’è perfino una quinta notizia. Possiamo in parte misurare quello che succede nell’AI Overview, E ZipTie.dev sembrerebbe lo strumento più indicato. Da provare!
5. Guardare le ricerche online [anche] da una prospettiva sociologica
Che poi, a pensarci bene… “come sarà tradotto AI Overview nelle varie lingue europee quando sbarcherà nel Vecchio Continente?” Un bel quesito che ci pone la SEO linguista Veruska Anconitano nel suo speech dedicato al futuro della Search Experience e alla teoria sociolinguistica dello Speech Act.
L’approccio sociolinguistico alla SEO mi ha sempre affascinato ed è vero, probabilmente, che troverà piena definizione e applicazione proprio nell’era dell’AIO. Tra i vari spunti offerti dall’esperta Veruska – alcuni divertenti, vedi il caso “cileni ripieni di zucchero” divenuto query da 23.000 ricerche mensili – mi porto a casa questa bella lezione:
Gli utenti che svolgono una ricerca di tipo comparativa (“questo prodotto vs quell’altro prodotto”), magari non stanno cercando un confronto tra funzionalità dei due prodotti, ma si stanno chiedendo “per quale dei due prodotti sono più adatti/e?”
Ne terrò conto nelle prossime guide comparative che scriverò…
Bella la SEO, ma il Content Marketing?
Nei precedenti paragrafi ho ripetuto più volte la parola “contenuti”. Questo effervescente calderone di SEO multi/omnicanale e AI generativa, non può che non legarsi anche al Content Marketing nel suo senso più ampio.
Anche qui non mancano gli spunti.
Proprio sull’AI generativa, scopro da Irene Di Deo (ricercatrice dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano), che il 17% delle grandi aziende italiane ha già avviato delle sperimentazioni già a fine 2023. Poco o nulla, invece, dalle piccole e medie imprese.
L’utilizzo per la produttività personale dei dipendenti (soprattutto nel marketing) è solo una delle opportunità, ma le progettualità più evolute permettono di creare nuovi prodotti e/o servizi – come sistemi conversazionali o soluzioni, ad esempio, per migliorare l’esperienza d’uso di un eCommerce – o addirittura promettono di rivoluzionare l’approccio a dati e documenti all’interno di un’organizzazione, combinando le tecnologie di GenAI con la vera ricchezza, la knowledge base aziendale.
Miriam Bertoli, esperta Content Strategist, ci parla più specificatamente degli impatti dell’IA generativa sul content marketing, in termini di investimenti, organizzazione delle persone, approccio alle tecnologie e alle competenze.
Le regole del gioco evolvono. Il budget si sposta dalla creazione alla distribuzione, perché creare costa meno grazie all’AI, vero, ma sono le piattaforme di distribuzione in questo scenario a richiedere maggiori investimenti rispetto al passato.
Cambia anche il modo di produrre contenuti.
L’IA generativa è solo lo step intermedio di un processo a 3 fasi, in cui all’inizio c’è la prerogativa di sapere “cosa chiedere all’AI”, cioè di saper fare prompting. Prompt, automatizzazione AI, quindi Validazione di quel che è stato generato dall’IA. Validare vuol dire avvalersi di tecnici, iperspecialisti del settore per cui si sta creando contenuto. Sono loro i veri “eroi” della rivoluzione innescata dall’AI generativa nel content marketing.
Si spalanca in ultimo la forbice tra Personalizzazione e Standardizzazione. Prendiamo ad esempio la comunicazione via email. Se da un lato diventa più facile ed economico creare newsletter diverse e personalizzate per ogni singolo contatto, dall’altro rischiamo un po’ tutti di abbeverarci dalla stessa fonte.
Una panoramica esaustiva, quella di Miriam, che Michal Leszczynski, Head of Content Marketing di GetResponse, ha saputo tradurre operativamente con la sua carrellata di strumenti, strategie e requisiti etici che occorrono per rivoluzionare la content creation grazie all’IA. Tanti spunti pratici e un punto di vista internazionale che fa sempre bene, con una grande prerogativa: mantenere il giusto equilibrio tra efficienza dell’IA e creatività umana.
Sempre da GetResponse, arrivano numeri concreti circa l’impatto dell’IA nel marketing, in particolar modo nell’email marketing. Li ha illustrati Linda Romani, Brand Manager per l’Italia.
Confrontando i principali KPI delle campagne di email marketing lanciate dai clienti di GetResponse a livello globale nel 2023, emerge che l’utilizzo di editor potenziati dall’IA porta a risultati migliori. In particolare: Open rate medio globale senza IA: 39,64% vs Open rate medio globale con IA: 41,13% ; CTR medio globale senza IA: 3,25% vs CTR medio globale con IA: 3,96%
Il discorso si fa ancora più interessante per chi si occupa di questi contenuti, se si prova ad analizzare l’impatto dell’Assistente alla Scrittura con IA sui principali KPI. Questo strumento consente di modificare un testo utilizzando una vasta gamma di prompt in modo istantaneo. In Italia, il Tasso di click con Assistente alla Scrittura con IA è del 3,50%… senza del 3,14%.
Tutti i dati sono consultabili in questo report: Benchmark 2024 sull’email marketing by GetResponse
Ultima menzione per chi, da questa ricerca e distribuzione di contenuti così ansiolitica, ancora rifugge. Sono i newsletterati intervistati dalla brava copywriter Federica Trezza. Una bolla di serenità, in cui la creazione di una newsletter (intesa come contenuto da proporre a degli iscritti, non come email di marketing) diventa occasione di riflessione, momento di “lenta creatività“, lontana dai dettami SEO e per nulla ingolosita dagli strumenti dell’AI generativa. Anche se qualche newsletterato, ammette: “ChatGPT e soci rappresentano comunque un buon tool per il brainstorming!”